Il “dragone” della speranza: contro il tumore a colpi di pagaia con accanto l’airone “Armandino”, ormai diventato la vera e propria mascotte del canoa e del tevere sempre presente lungo le sponde del fiume. Primi in Umbria, ormai da otto anni, a Città di Castello, si rinnova sulle acque del tevere, un originale progetto, il “Dragon boat”, la maxi-canoa per le donne operate al seno. Nella patria dei campioni mondiali, Maurizio Bianconi, Mirco Spelli e Carlo Mercati, non poteva mancare la specialità del “Dragon Boat”, canoa da venti posti (della lunghezza di 12 metri e larghezza oltre un metro) che deve il suo nome alla testa di drago sulla punta dell’imbarcazione, e che è particolarmente indicata per la riabilitazione delle donne operate al seno. Il progetto ideato da, Rossella Cestini, scomparsa lo scorso anno (a lungo apprezzato amministratore pubblico locale e regionale, particolarmente attiva nel sociale e nella scuola) è nato nel 2016 dalla collaborazione tra Associazione Altotevere Contro il Cancro, Gruppo di auto mutuo aiuto “Farfalle”, Regione, Federazione Italiana Canoa-Kayak, Canoa Club Città di Castello ed Usl Umbria 1, insieme a Comune e CONI Umbria. L’idea è quella di mettere a disposizione le strutture del centro federale e campo gara del canoa e portare in acqua, o meglio nel fiume, in una lunga canoa le donne che hanno avuto dei problemi a livello oncologico al seno e sono reduci da interventi chirurgici ed in prossimità di sottoporsi ad un periodo abbastanza lungo di riabilitazione. “E’ utile per la riabilitazione ma soprattutto ci aiuta a superare l’impressione di essere malate. Il dragon boat è un modo per tornare a sentirci sane e condividere il nostro percorso di vita con altre donne e persone che ci sono vicine”, ha dichiarato Daniela Belsoli, portavoce delle “farfalle” dell’Associazione Altotevere Contro il Cancro, guidata da anni con passione e determinazione dal Presidente, Italo Cesarotti, che acquistarono a loro spese la lunga imbarcazione grazie al concreto contributo logistico dell’allora Presidente del Canoa Club, Sandro Paoloni. Ogni venerdi pomeriggio le atlete in “rosa”, circa venti, armate di pagaie, giubbotti e tanta volontà si ritrovano sulle sponde del tevere presso la sede del club e dopo aver effettuato alcuni minuti di specifici esercizi a terra alla presenza dei tecnici ed esperti del salgono a bordo del “dragone” ed iniziano a pagaiare al ritmo dei colpi del “tamburino” e del “timoniere”. Una vera e propria lezione in acqua lungo il percorso del fiume tevere che dalla sede del canoa club si snoda per circa 500 metri in direzione nord e ritorno, spesse volte accompagnata dalla presenza dell’ airone cenerino, “Armandino”, così ribattezzato, la vera e propria per “mascotte” del club e del tevere. Da quasi un anno quello splendido ed elegante esemplare di airone cenerino (è piuttosto tipica presenza lungo i fiumi della pianura padana, tra le risaie del Piemonte e della Lombardia e palese rarità nelle regioni centrali) è diventata una presenza amica nei pressi della piccola “cascatella” sul Tevere ed allieta i duri allenamenti delle giovani promesse del Canoa club Città di Castello e delle “farfalle” dell’Aacc: “la sua presenza – dicono con il sorriso le “dragonesse” ci fa sentire protette e sorvegliate”. “Con orgoglio e rinnovato slancio abbiamo confermato nella nostra programmazione annuale questo bellissimo progetto ereditato dai fondatori e dirigenti di questo glorioso Club, divenuto negli anni un punto di riferimento a livello regionale e nazionale”, ha dichiarato Nicola Landi, presidente del Canoa Club Città di Castello, affiancato da tutto il consiglio, nel ringraziare l’amministrazione comunale, la Asl, Il Coni, la Federcanoa ed in primo luogo l’Aacc, per aver messo in sinergia le forze migliori per una bellissima pagina di sport e vita quotidiana che ogni anno, dal 2016 si ripete con tanto entusiasmo. Il sindaco, Luca Secondi, gli assessori Carletti, Guerri e Calagreti, a nome di tutta la giunta ha rinnovato vicinanza e sostegno agli organizzatori del progetto, con un pensiero particolare a Rossella Cestini, indimenticata collega e amica, che l’ha voluto fortemente e ai numerosi volontari del canoa che ogni anno si dedicano ad allestire questa unica e sempre coinvolgente iniziativa che travalica i confini regionali. Le vere protagoniste sono lore le magnifiche farfalle dell’Aacc che ci insegnano a lottare e a credere nel futuro”. Plauso al progetto a più riprese anche dai vertici nazionali della Federazione Italiana Canoa-Kayak con il Presidente Luciano Buonfiglio e il Presidente del Coni Umbria, Domenico Ignozza: “il Canoa Club Città di Castello ed il comune con perfetta sinergia e identità di vedute esprimono ancora una volta i valori sani della passione dell’inclusione, della solidarietà e della gioia di stare insieme nel rispetto della vita e dell’ambiente.” Il dragon boat è una canoa a 20 posti così chiamata per la caratteristica testa di drago a prua; si rema da seduti usando una pagaia monopala. I rematori sono 20 più un timoniere a poppa (che dà la direzione) ed un tamburino a prua (per il ritmo). E’ lunga 12,40 mt e larga 1,12 mt per un peso che si aggira intorno ai 250 kg. La storia delle “dragon boat” si riallaccia a miti e leggende orientali incentrate sui draghi. Gli studiosi ritengono che l'origine vada ricercato nel sud della Cina, in particolare nella regione del Chang Jiang verso il 500 a.C ma sembra che gare organizzate di dragon boat si disputassero già molto prima. Il Dragon Boat è una disciplina appartenente alla Federazione Italiana Dragon Boat e oggi in tutto il mondo è riconosciuta quale sport di beneficio per la salute psicofisica delle donne sottoposte ad operazione al seno in seguito a una diagnosi di carcinoma mammario, tanto che negli ultimi 25 anni sono nate centinaia di squadre di Breast Cancer Survivors che gareggiano nelle competizioni internazionali. Secondo studi clinici effettuati a partire dagli anni ‘90 presso il Centro di Medicina Sportiva dell’Università della British Columbia, in Canada, il movimento ritmico della pagaiata, che coinvolge la parte superiore del corpo, offre reali e multipli benefici alle pazienti che affrontano i postumi dell’intervento chirurgico alla mammella. La ricerca si è soffermata nell’analisi delle reazioni del muscolo scheletrico durante questo tipo di esercizio fisico, dimostrando il rilascio delle molecole che esercitano i loro effetti sia per via sistemica che locale, modulando la risposta infiammatoria sistemica stimolando la produzione di citochine antinfiammatorie, inibendo la produzione del fattore di necrosi tumorale e limitando i casi di linfedema successivi alla operazione. Tale reazione attenua significativamente alcuni dei sintomi, riduce la sensazione di fatica nello svolgimento delle attività quotidiane e migliora nel complesso la qualità della vita delle pazienti. I benefici, infatti, non si riscontrano solo al livello fisico ma anche psicologico, grazie al lavoro di squadra e cooperazione tra compagne.